Stranger Things e genitorialità

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Bene, visto che le mie (a questo punto presunte) collaboratrici di blog si stanno dimostrando utili come un pollice su un ginocchio, dovrete beccarvi un altro dei miei sproloqui. 😛

Nello specifico, questo sproloquio nasce da una serie di riflessioni che la visione di Stranger Things 2 mi ha generato, in merito al ruolo delle figure genitoriali in entrambe le stagioni della serie… E anche in merito alla genitorialità in real life, questione che mi riguarda da circa quattro anni a questa parte. Ma andiamo con ordine, partendo da qualche doverosa premessa:

  1. Ho una figlia di tre anni e mezzo, e sono un educatore, oltre che un “teatrante”.
  2. Stranger Things (prima e seconda stagione) mi è piaciuta moltissimo, sono (quasi) un fan.
  3. Sono nato negli anni ’80, sono sempre stato quello che si sarebbe definito un “nerd” (se non fosse che la parola non girava all’epoca in Italia) e forse sul mio gradimento della serie ha influito “l’effetto nostalgia” di cui molti parlano in riferimento a ST.

[AVVERTENZA] Dopo le premesse, seguono spoiler sparsi per chi non avesse visto entrambe le stagioni.

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Fine delle premesse.
Dunque, Stranger Things è una storia coming of age, con tutti gli elementi classici del genere, e tra questi elementi classici vi è ovviamente la quasi totale assenza delle figure genitoriali e, più in generale, di figure adulte positive. Con le sole eccezioni di Hopper e Joyce Byers, mamma di Will, e del mitico Bob The Brain nella seconda stagione.
In ogni caso, di tutti i personaggi citati, solo Joyce Byers (Wynona ti amo) è, di fatto, un vero e proprio genitore, nonché apparentemente l’unico genitore di tutta Hawkins ad occuparsi (oltre che preoccuparsi) del proprio figlio, nonostante tutti i suoi evidenti difetti, il suo essere sconclusionata, sola, probabilmente depressa, irrimediabilmente povera.
Del resto, nell’ordine:
– I genitori di Mike e Nancy sembrano quasi totalmente ignari delle vite dei propri figli, non sanno dove vanno, con chi escono, cosa fanno… Probabilmente neanche chi sono. Sembrano vivere in una bolla di inconsapevolezza in stile “famigliola americana perfetta”, anche se dalla memorabile scena tra la signora Wheeler e Billy trapela un grandissimo senso di solitudine. Non è più una campana di vetro, quella che li isola, ma due singole campane, che sarebbero anche quattro se solo Will e Nancy non fossero avvicinati dagli eventi (e dalle loro scelte).

– La mamma di Dustin somiglia terribilmente alla signora Kaspbrak, forse un po’ meno pericolosa, ma solo perché Hawkins non è proprio Derry e né il Mind Flayer né tantomeno il Demogorgone sono IT, è iperprotettiva ma del tutto a modo suo, senza davvero ascoltare né osservare il figlio.

– I genitori di Lucas (e, scopriamo poi, della sua insopportabile sorellina) sono deliziosamente inutili, e di conseguenza i loro figli hanno imparato ad essere abbastanza in gamba da cavarsela alla grande anche senza di loro.

– Appannaggio esclusivo della seconda stagione, e giusto per un momento, i genitori di Max e Billy si presentano come una donna sostanzialmente pacata e remissiva e un padre prepotente e violento, un “vero maschio” che riesce a farci empatizzare con Billy pure se quello ha fatto lo stronzo per tutta la serie.

E poi, in mezzo ad una pletora di giornalisti invadenti, investigatori privati borderline, negozianti freddi e antipatici, viscidi gestori di sale giochi, e in generale una fauna di adulti che risparmia dalla mediocrità solo Hopper, Bob e il professor Clarke, quando non relega direttamente dalla parte dei “cattivi”, tra tutti gli scienziati, i dottori e gli agenti che si barcamenano tra il dare la caccia a Undici e il tentare di nascondere il casino che hanno fatto con il Sottosopra; in mezzo a tutti loro, dicevo, c’è Joyce Byers.

Joyce che sta lì, e che ci prova. Quello che le capita attorno sembra essere più grande di lei, e spesso del tutto incomprensibile: d’accordo, puoi sopravvivere e tirare a campare anche decentemente se tuo marito è un pezzo di merda che ti lascia con due figli a carico… Ma se uno dei due sparisce?
E se poi scopri che forse è prigioniero in una dimensione parallela?
E se i mostri con cui tuo figlio e i suoi amici sfigati giocano fossero improvvisamente reali?
Provateci voi a raccogliere i pezzi…
La riflessione che ne è scaturita, per me, è stata come una secchiata d’acqua fredda: e quando tutto questo capiterà a me?
No, porco mondo, non penso che mia figlia un giorno sarà braccata dal Demogorgone. Ma d’avvero l’adolescenza è meno pericolosa del Sottosopra? (Come spesso mi capita di dire ai miei allievi adulti, se qualcuno di voi dice di rimpiangere l’adolescenza o sta mentendo o non se la ricorda bene…) L’altra dimensione, i mostri, i poteri di Undici, sono cose incomprensibili… Ma perché, un figlio che si droga no? E un figlio fascista? O un figlio che sente la vocazione e vuole farsi prete?
E per me, che sono nato negli anno ’80 e che avrò una figlia adolescente alle soglie del 2030 (cavolo, è l’anno del futuro che cantavano gli Articolo 31!)… Quante cose incomprensibili vivrà mia figlia, mentre io sarò lì a guardare? E saprò aiutarla, pur tenendo ben presente che quella vita e quelle battaglie sono le sue e non le mie?

stranger_lightsPerché se è vero che Joyce Byers ce la mette tutta, e probabilmente riesce ad essere una mamma abbastanza brava (perché la perfezione non è di questo mondo), è altrettanto vero che suo figlio (neanche i suoi figli, bensì solo Will) sembra essere la sua unica ragione di vita, in un modo che il dolore rende totalizzante e inquietante.
Il destino di Will, la sua scomparsa prima e le sue “visioni” poi, invadono completamente la vita della madre, monopolizzandone attenzioni, pensieri, affetti, persino il suo spazio fisico. Nella prima stagione ne sono il simbolo le luci di Natale che Will usa per comunicare dal Sottosopra, che in un groviglio di fili incomprensibile (a tutti tranne che a Joyce) si estendono per tutta casa; nella seconda ci sono invece i disegni apparentemente sconclusionati di Will a tappezzare pareti, mobili e pavimenti di casa. Una vera e propria “infestazione” dello spazio fisico che dovrebbe essere di Joyce e di Jonathan, e che invece viene totalmente invaso dalla preoccupazione di Joyce per Will.

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Tempo fa, in uno dei miei momenti-melodramma, pensavo che “la vecchiaia arriva quando, ascoltando la storia di Romeo e Giulietta, più che identificarti in Romeo cominci a empatizzare con il padre di uno dei due, e immagini la sofferenza indicibileche deve essere perdere un figlio per una impuntatura del cazzo che dura da decenni”.
Ecco, durante Stranger Things 2 mi sono trovato spesso a pensare a Joyce, a quanto deve essere mostruosamente difficile vedere un figlio che sta male, che soffre, che sclera e sapere che, in fondo in fondo, tu non puoi fare niente.
O, per lo meno, che non puoi fare tutto.
Anzi, magari ti tocca pure farti da parte, e lasciare che, insieme al tuo Will, se ne occupino quegli squilibrati dei suoi amici.

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P.S. Giuro che è l’ultimo post così lungo che scrivo, almeno per un po’. Per i prossimi cercherò di darmi una regolata, o di dividerli in due parti. Questo conteneva delle riflessioni personali per me troppo importanti da spiegare in due parole o da dividere “a puntate”…

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